(Bergamo,
3 marzo 1997 - 19 agosto 2011) nel suo diario scrive:
Io ora so che la mia storia può finire solo in due
modi: o, grazie a un miracolo, con la completa guarigione, che io chiedo al
Signore perché ho tanti progetti da realizzare. E li vorrei realizzare proprio
io. Oppure incontro al Signore, che è una bellissima cosa. Sono entrambi due
bei finali. L'importante è che, come dice la beata Chiara Luce, sia fatta la
volontà di Dio.
Giulia è morta a 14 anni
per un tumore che ha combattuto per due anni e il suo diario è diventato un
libro molto apprezzato: “Un gancio in
mezzo al cielo” (Paoline). Del resto aveva un vero talento per la scrittura
e per la vita in generale.
Noi non ci rendiamo conto – scrive ancora - di
quanto quello che abbiamo valga veramente. Quando le cose vengono a mancare, ti
accorgi di quanto veramente sono importanti e quanto sono profonde e servono
per andare avanti. Io quando sarò guarita, se guarirò, devo fare qualcosa per i
giovani che non hanno ancora conosciuto questo grande amore del Signore.
La malattia va
sdrammatizzata, diceva sempre. Ironica, solare, piena di vitalità. Scopre
l’amore di Dio che si fa vicino nella sua sofferenza e a Medjugorje si
innamora della Madonna e inizia a recitare il Rosario ogni giorno. Di questo
pellegrinaggio dirà:
Non c'è una parola che possa descrivere
Medjugorje: posso solo dirvi che l'amore della Madonna è talmente grande, è
talmente forte che esplode in preghiera, conversioni, amore verso il prossimo.
(Napoli, 24 ottobre 1963 – 28 giugno
1978) è legata ai cooperatori salesiani. Nei
suoi pochi anni di vita (morirà non ancora quindicenne per una epatite virale
fulminante) si divide tra Napoli,
città nella quale nasce e muore, e Taranto,
città dove i genitori, entrambi architetti, cooperatori salesiani e catechisti, si trovano per lavoro e dove
tumuleranno Paola. Lei cresce in un ambiente salesiano piena di vita e di
entusiasmo. Suona la chitarra, canta, è una sportiva, ha molte amiche e tiene
un diario da cui è emersa la sua profonda spiritualità: sente Dio, lo ama, gli parla, in lui sfoga i suoi problemi e i momenti contrastanti
della vita. Ha una fede salda e luminosa che le fa dire: “Se credi in Dio hai il mondo in pugno”.
(Ferrara,
6 giugno 1963 – Tresigallo, Ferrara, 4 aprile 1987). È una ragazza normalissima, allegra, espansiva, ma anche
riflessiva. Frequenta la parrocchia e diventa animatrice dell’Azione Cattolica e catechista. Si
fidanza con un ragazzo romano conosciuto a Spello, durante un’esperienza
spirituale guidata dal Piccolo Fratello Carlo Carretto. Nella loro
esperienza di reciproco amore vedono Dio come il «direttore d’orchestra», che,
scrive Laura, «è capace di accordare 2 strumenti spesso così scordati (=
limitati) come noi e di dirigerli creando bellissime melodie». Nel 1984 le viene diagnosticato un sarcoma sinoviale che la
costringe a diversi interventi chirurgici e all’amputazione di una gamba.
Morirà tre anni dopo avendo trasformato la sua via crucis in un cammino di fede
e di amore. Ha lasciato a Guido, prima di morire, le sue
ultime raccomandazioni:
Quando me ne andrò: – Io continuerò ad essere viva, ad amarti, ad
interpellarti, a pregare per te. – Sarò nella Gioia… ma mi piacerebbe tanto che
tu continuassi ad essere un bravo figlio di Dio, a mantenerti in una dimensione
di verticalità: preghiera, ascolto della Parola, vigilanza, testimonianza. – Io ti aiuterò sempre con tutta la forza di
Dio: sarò il tuo angelo custode. – Ti aspetterò per riabbracciarti. – So che non sarà facile per te, Amore mio, o
che perlomeno sarà diverso… ma io ce la metterò tutta e forse dall’aldilà ti
potrò dare un aiuto più grande di quello che riesco a darti ora umanamente. – Ho però fiducia che tu ce la farai: fiducia
grande in te come persona, nelle tue risorse personali. Perché è vero che noi
ci aiutiamo reciprocamente, ma non siamo indispensabili.
(Palermo,
24 gennaio 1963 – Francia, 19 agosto 1982). Distintosi per le sue poesie e per il
suo impegno scolastico, muore in Francia, a 19 anni, in un incidente d’auto.
Aveva da poco conseguito la maturità classica e stava andando a Taizè
per vivere una esperienza spirituale. Scout, nel corso di
una route scriveva:
Ho capito che l’esistenza dell’uomo non ha senso se non c’è amore.
Ho capito che il servizio non è fine a sé stesso. Il servizio è un mezzo che ti
fa scoprire Dio…. Tu, Signore, nella notte sei lampada per i miei passi e la
tua Parola è luce per me, luce che rischiara il mio cammino.
(Cagliari,
13 ottobre 1960 - 18 aprile 1984), terza di sei figli, è una ragazza appassionata
di basket e di Dio. Ogni giorno partecipa alla Messa e prega intensamente.
Nella sua parrocchia ha contribuito a fondare ed animare un gruppo giovanile
del Rinnovamento. Si fidanza,
sogna di formare una bella famiglia, si laurea in teologia e inizia ad
insegnare religione. Un cancro ai polmoni la porta via in pochi mesi. Considera la sofferenza come “l’ascensore che
conduce in paradiso”: non si lascia distruggere dentro dalla malattia che le
sta demolendo il fisico. Scrive:
Se è meglio per me e la salvezza dei miei
fratelli, guariscimi. Ma se il mio servizio dovesse essere finito, ed è fonte
di salvezza per me e i fratelli, la mia famiglia, che Tu mi prenda, mio buon
Gesù, sia fatta la Tua volontà.
(Treviglio,
Bergamo, 22 novembre 1995 – Milano, 29 agosto 2015) è legata fin da piccola al Rinnovamento nello Spirito (gruppo
Shalom) e ben inserita in parrocchia in cui sarà animatrice dei bambini vivendo
la fede in modo limpido e gioioso. A 18 anni scopre di avere un tumore al seno,
malattia che affronterà con fiducia fino alla morte avvenuta pochissimi anni
fa. Scrive:
Non possiamo cambiare la direzione del vento, ma
possiamo sistemare le vele in modo da poter raggiungere la nostra destinazione
in Cristo Gesù nostro Signore.
Un giorno – racconta la mamma – il marito di una signora ricoverata con
nostra figlia ci chiese che cosa aveva di particolare Angelica. La risposta
ovviamente fu che aveva un tumore al seno. Quell’uomo guardandoci dritti negli
occhi ci disse che non avevamo capito quello che intendeva. Voleva sapere cosa
avesse di così speciale perché dai suoi occhi trasparivano una luce e una
dolcezza indescrivibili.
(Roma,
20 novembre 1964 – 3 aprile 1981) ha dieci anni quando gli viene
diagnosticato un tumore alla gamba sinistra che, due anni dopo, le verrà
amputata. Questo non le impedisce di impegnarsi nella sua parrocchia, nel coro,
come catechista e nel gruppo parrocchiale del Rinnovamento. Morirà a 16 anni. Nel suo testamento spirituale
scrive:
Non voglio fiori al mio funerale: i soldi che
devono essere così inutilmente spesi siano inviati come aiuto alle missioni dei
padri Benedettini Silvestrini. Non piangete, ma gioite per me, perché
finalmente, se il Signore mi riterrà degna, potrò partecipare alla gioia
eterna. Lascio i poveri del mondo, lascio chi soffre nello spirito e nel corpo,
alle preghiere di tutti.
Con la sua infermità
aveva scoperto il valore del dolore accolto nella fede e una spiccata
sensibilità per i sofferenti e i poveri.
(Teramo, 10 dicembre 1966 – Silvi,
Teramo, 20 agosto 1984) aderisce con la famiglia al movimento diocesano,
branca del movimento dei Focolari che coinvolge le parrocchie. È chierichetto,
Gen3. A 17 anni annega al mare. La sua è una vita ordinaria, breve, ma intensa: emerge il suo
amore e la sua fedeltà al Signore, l’aiuto verso il prossimo, il suo impegno
costruttivo nella comunità parrocchiale.
(Bari,
6 febbraio 1968 - 15 marzo 1991) è la prima vittima di uno stalker
(ma anche l’ennesima vittima di un femminicidio) ad essere candidata alla
santità. Conosce il movimento dei Focolari nel 1985 e vi aderisce con entusiasmo
così come ha fatto, e continuerà a farlo, con tante altre realtà ecclesiali:
dai salesiani all’azione cattolica. La si trova tra i pionieri della Croce
Rossa, al fianco di una giovane famiglia con problemi, nel coro Gen, tra i
catechisti della parrocchia. Pensa di consacrarsi nelle Missionarie
dell’Immacolata di Padre Kolbe, ma un giovane psicopatico che da tre anni
la perseguita, la uccide nel 1991, a soli 23 anni perché doveva essere “O mia o
di nessuno, e nemmeno di Dio”. Un documentario del 2019, “Santa subito”,
presentato con successo al Festival di Roma, racconta la sua storia. Santa
lascia anche un diario ricchissimo di umanità e di fede, nel quale traspare la
scelta di Cristo come interlocutore privilegiato:
Oggi sono stata maltrattata, abbandonata da un
amico e ho pensato subito soltanto al mio dolore.(…) Poi ho pensato a te, al tuo abbandono e a come avrai
sofferto quando gli amici ti hanno abbandonato e hai sentito lontano anche il
Padre. Il mio dolore si è trasformato in amore! È vero, sono sicura che tu stai
affondando le tue radici in me e io sono contenta di stare innamorandomi di te.
ALBERTO
MICHELOTTI
(Genova, 14 agosto 1958 – Monte Argentera, Cuneo, 20 agosto 1980) e CARLO GRISOLIA
(Bologna, 29 dicembre 1960 – Genova, 29 settembre 1980), sono legati anche da
una profonda amicizia, al punto che la diocesi di Genova, caso unico nella
storia (perlomeno per due amici laici), ha aperto una causa di beatificazione
comune. Uniti nella vita, sono rimasti uniti anche nella morte (avvenuta a 40
giorni di distanza l’uno dall’altro).
Carlo è di origini bolognesi, ma la sua famiglia si
trasferisce a Genova dove conosce
il movimento dei Focolari e vi aderisce incontrando Alberto che, del suo gruppo
giovanile, era responsabile. Alberto
ha due anni in più ed è nato a Genova nel 1958 ed è
praticamente cresciuto tra i focolarini. È impegnato
in tante attività parrocchiali e di volontariato. È un leader, ha molti amici, anche tra i poveri che cerca di
aiutare. In una sua lettera scrive:
Lentamente
la mia vita sta cambiando: c’è “Qualcuno” che entra sempre più nella mia
giornata, è Gesù. Certi giorni corro per tutta la città, in qualche chiesa c’è
l’ultima messa della giornata: lì posso incontrarmi con “Lui” nell’Eucaristia;
per riuscirci esco prima dall’università, salto da un autobus all’altro; a un
tratto penso: “Alberto, un mese fa queste cose non le avresti fatte
per nessuno, nemmeno per la tua ragazza”.
Con Carlo condivide un ideale di vita e una
profonda amicizia, anche se hanno diversi interessi e carismi: ad Alberto piace
la montagna, a Carlo piace leggere, suonare e scrivere poesie; il primo è
razionale e deciso, il secondo è poetico e riflessivo. Ma tra i due si
stabilisce una profonda comunione spirituale, nel comune sforzo di “tenere Gesù
in mezzo”, al punto che ciascuno diventa reciproco sostegno nel comune cammino
verso la santità. Alberto muore a 22 anni durante una
scalata. Il giorno dopo Carlo scopre di avere un tumore devastante. Dichiara di
sentire Alberto vicino a sé e agli amici confida:
Offro la mia
vita per tutti voi, ma soprattutto per l’umanità che soffre, per i ragazzi del
mio quartiere, della mia parrocchia, per il mondo unito - confida
agli amici, raccomandando loro - di essere pronti a dare la vita l’uno per
l’altro.
(Avellino, 19 settembre 1990 - Brindisi, 24 aprile
2009) è ben inserito nella
sua parrocchia, socievole, mite e generoso. Ama lo sport, la musica e
l’informatica. Ha una grande fede alimentata dalla lettura quotidiana del
Vangelo e dalla recita quotidiana del Rosario. Nel 2003 gli scoprono un tumore
al cervello che combatte per cinque anni affrontando la malattia con serenità e
caparbietà. Spiritualmente dirà di sentirsi “rifiorire”, percependo la
misericordia di Dio. È attento ai poveri e ad evangelizzare i giovani che, in
troppi, si sono allontanati da Dio. Arriva a dire:
Per quanto mi riguarda spero di riuscire a
realizzare la mia missione di “infiltrato” tra i giovani, parlando loro di Dio
(illuminato proprio da Lui) osservo chi mi sta intorno per entrare tra loro
silenzioso come un virus e contagiarli di una malattia senza cura, l’Amore.
In questo tempo di
pandemia le sue espressioni sul virus contagioso di bene risultano
particolarmente evocative.
(Moncalieri, Torino, 1° luglio 1967 - Poirino,
Torino, 24 settembre 1979) è il più giovane, morto a soli 12 anni. Anche lui piemontese, viene descritto
come un bambino vivace, intelligente e ubbidiente. A 11 anni gli scoprono un
tumore osseo. Vive la sua lunga e dolorosa via crucis in unione con Gesù, nella
preghiera (specialmente del Rosario), offrendo la sua sofferenza per il papa,
per la conversione dei peccatori, per i missionari…
(Maggiora,
Novara, 15 dicembre 1962 - 14 aprile 1986) è affetta da una malattia rarissima e invalidante. Riesce
comunque a diplomarsi e a condurre una vita serena. Particolarmente sensibile
agli altri malati, nel 1973 conosce il movimento dei Focolari che gli dona
ulteriore coraggio e spinta verso gli altri e verso Dio. A sostenere
Daniela è la fede nell'amore di Dio a cui affida tutto nella preghiera. In una
sua lettera pubblicata su Famiglia Cristiana nel novembre del 1984 scrive:
(Dio) Mi dà la possibilità di riuscire ad offrire il dolore, la croce,
quella che può essere la difficoltà di ogni giorno… questa fede in Dio mi
permette di sfruttare il dolore come una grazia, come un dono Suo che mi
consente di amarLo in modo particolare. (…) Non è semplice trascorrere ventidue
anni sulla croce, ma credo in Dio, lo amo intensamente e lo ringrazio per
avermi donato la vita, perché ogni giorno che mi regala è un'occasione in più
che ho per amarLo e servirLo.
Muore a 24 anni dopo aver
trasformato il suo capezzale in luogo di profondo incontro spirituale. Nei suoi
diari scrive:
Io non capivo il Tuo amore perché per me
significava dolore, per me erano ore di medicazione, tante rinunce, tanta
amarezza; non comprendevo, non volevo. Poi tra le lacrime ti ho detto si! Ti ho
ricevuto per la prima volta nel cuore, Ti ho parlato: no, sei stato Tu a
parlare e da quel momento Ti ho offerto il mio corpo malato, piagato,
sfigurato. Ora sono tua e nonostante le cadute, le sbandate, non mi mischierò
più alla folla, ma rimarrò ferma al centro del tuo amore.
(Vallo
Torinese, Torino, 2 ottobre 1954 – Ca’ Savio, Venezia, 10 luglio 1970)
Impegnata in parrocchia,
conosce il movimento dei Focolari nel 1967 insieme alla famiglia. Scrive nel
suo diario:
Ho capito che la chiave della gioia è la croce e
mi sono decisa di fare veramente la scelta di Dio: essere pronta ad amarlo
sempre, specialmente nella sofferenza. Voglio amare, amare, amare sempre, per
prima, senza aspettarmi nulla; voglio lasciarmi adoperare da Dio come vuole
lui, e voglio far la mia parte perché quella è l’unica cosa che vale nella vita
e perché tutti i giovani conoscano che cos’è la vera felicità e amino Dio.
È una ragazza piemontese
del ’68 che ama la musica beat, si interessa alle prime manifestazioni
studentesche, suona la chitarra e prende lezioni di canto. Un’adolescente come
tante altre, innamorata della natura, dello sport e della musica. Prende qualche
cotta, annota i suoi pensieri sul diario personale, ha tanti amici e scrive
lettere a quelli più cari. «Ma la sua vita, apparentemente senza sussulti,
nasconde invece un’anima straordinaria», scrive il giornalista Gianni Bianco
nella biografia Evviva la vita, edita da San Paolo.
Annota ancora sul
diario:
Gesù in mezzo è veramente potente, ti aiuta a
superare ogni difficoltà e ti dà la gioia, la pace e la serenità. Non siamo noi
a renderci felici a vicenda, ma Gesù che generiamo in mezzo a noi se ci amiamo
scambievolmente. Ho trovato una persona come modello: Maria, che consumò la
sua vita per Dio. Anch’io vorrei essere come lei, paziente, perseverante,
povera per portare Dio agli altri, perché Gesù è morto in croce non solo per
noi ma per tutti…
Come sono contenta! Che bella la vita! W la vita!
Dai Maria, vai avanti. Se arrivano le difficoltà, bene! Grazie Gesù, amale e
buttati. Sì, Dio è amore! Cercherò di vestirmi e di essere bella per Dio.
Questa sì che è vita! W la vita!
Nell’estate del 1970, in
un campo estivo, muore colpita da una scarica elettrica. Aveva 15 anni, faceva
l’animatrice e si dichiarava «disposta a dare la vita perché i giovani
capiscano quanto è bello amare Dio». Con la sua morte vennero scoperti i suoi
diari e le lettere da cui fluiscono una profonda e gioiosa spiritualità.
(Riccione, Rimini, 19 agosto 1961 - Bologna, 2
maggio 1984) è da poco beata. La celebrazione annunciata per il 14 giugno 2020, presso la
Fiera di Rimini, è stata rimandata al 24 ottobre 2021, a causa della pandemia.
Di Sandra si è parlato soprattutto per il fatto che sarà la prima fidanzata
ammessa agli onori dell’altare Nata a Riccione,
qui incontra don Oreste Benzi,
fondatore della comunità Giovanni
XXIII a cui collabora con entusiasmo. Sul suo esempio, anche lei
scelse di condividere la vita con persone con gravi disabilità e tossicodipendenti.
Anche per questa ragione, dopo la maturità scientifica, s’iscrisse alla facoltà
di medicina a Bologna. Nel frattempo si fidanza con un ragazzo che
condivide il suo ideale: arrivare castamente al matrimonio per poi partire
missionari in Africa. Ma nel 1984, a 23 anni, viene travolta da un’auto mentre
si reca, col fidanzato, ad un incontro della comunità.
Per una
santità del genere, - afferma il vescovo di Rimini Francesco Lambiasi - “non
occorrono esperienze eccezionali di impegno ascetico o di contemplazione
mistica. Alla nostra cara Sandra è bastata la trama di una vita ordinaria,
tessuta di fede viva, sostenuta da una preghiera intensa e diffusa. Una vita
spesa nel lieto e fedele compimento del proprio dovere, punteggiata da piccoli
gesti di un amore teso all’estremo, in una appassionata amicizia con Cristo
«povero e servo», in un servizio generoso e infaticabile a favore dei
poveri. Una volta
incontrato Gesù personalmente, lei non ha più potuto fare a meno di amarlo, di
puntare su di lui, di vivere per lui, nella Chiesa”.
Il miracolo preso in
esame per la sua beatificazione è avvenuto nel 2007 e riguarda la guarigione di
Stefano Vitali, che fu il primo segretario di don Benzi e, all’epoca, era
assessore al Comune di Rimini, malato di tumore all’intestino, per il quale si
sottopose a svariate cure e operazioni, senza miglioramenti. Don Benzi che l’ha
definita “la ragazza tutta assorbita dall’Assoluto”, la cui “anima era arrivata
ad un punto di luce molto grande” invita Stefano a chiedere la grazia a Sandra.
Stefano segue le sue indicazioni e, nell’ottobre successivo, sottoposto a nuovi
controlli, il tumore risultava scomparso.
Alla traslazione della
salma hanno trovato la bara vuota. Da qui un piccolo giallo sulla scomparsa del
corpo: l’assenza è dovuta a trafugamento? Le falde acquifere hanno consumato il
corpo? Il vescovo Lambiasi ne ha
dato una lettura spirituale: “il chicco che ha il volto e il
nome di Sandra è caduto talmente in terra da sciogliersi completamente, da
farsi terra”.
(Londra,
Inghilterra, 3 maggio 1991 - Monza, 12 ottobre 2006) è stato l’unico ad essere beatificato nel 2020. La sua è una
storia che continua ad edificare: semplice, ma anche profonda e limpida. Nasce
a Londra per motivi lavorativi del padre, ma cresce a Milano, impegnato in parrocchia (dove sarà anche un giovanissimo
catechista), studia in scuole cattoliche e mostra già da piccolo una profonda
spiritualità che si associa alle mille passioni. Sportivo, solare, allegro, è
un nativo digitale che utilizza internet soprattutto per evangelizzare, creando
siti ancora oggi visitabili in cui raccoglie i miracoli eucaristici avvenuti
nel mondo, le apparizioni della Madonna…. Per questo è stato più volte
suggerito che possa diventare il patrono di internet e degli internauti. Si
impegna ad aiutare i poveri e a diventarvi amico. Ogni giorno recita il Rosario
e partecipa alla Messa, fermandosi ad adorare l’Eucarestia che chiama “la mia autostrada verso il cielo”. È convinto che quando “ci si mette di fronte al sole ci si
abbronza... ma quando ci si mette dinnanzi a Gesù Eucaristia si diventa santi”.
A 15 anni viene
colpito da una leucemia fulminante e pochi mesi dopo muore. Ha chiesto di
essere tumulato ad Assisi in onore del santo da lui particolarmente amato. Papa
Francesco, che ha autorizzato la sua beatificazione ad Assisi il 10 ottobre
2020, lo cita nell’esortazione “Christus Vivit” del 2019:
Egli sapeva molto bene che questi meccanismi della
comunicazione, della pubblicità e delle reti sociali possono essere utilizzati
per farci diventare soggetti addormentati, dipendenti dal consumo e dalle novità
che possiamo comprare, ossessionati dal tempo libero, chiusi nella negatività.
Lui però ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il
Vangelo, per comunicare valori e bellezza.
Non è caduto nella trappola. Vedeva che molti giovani,
pur sembrando diversi, in realtà finiscono per essere uguali agli altri,
correndo dietro a ciò che i potenti impongono loro attraverso i meccanismi del
consumo e dello stordimento. In tal modo, non lasciano sbocciare i doni che il
Signore ha dato loro, non offrono a questo mondo quelle capacità così personali
e uniche che Dio ha seminato in ognuno. Così, diceva Carlo, succede che “tutti nascono come originali, ma molti
muoiono come fotocopie”. Non lasciare che ti succeda questo.
Nel 2019 i suoi resti
mortali sono stati riesumati, per essere traslati nella chiesa di Santa Maria
Maggiore. Qui, prima della beatificazione, è stato mostrato, (è stato trovato
quasi intatto), per la venerazione di tanti fedeli che, nonostante la pandemia,
sono accorsi per partecipare all’evento e pregare un santo, forse l’unico che,
nella teca, indossa la tuta e le scarpe da ginnastica.
Il miracolo che gli ha
aperto la strada della beatificazione è accaduto in Brasile nel 2013. Matheus,
6 anni, era nato con il pancreas biforcuto e non riusciva a digerire alimenti
solidi. Il parroco invitò i parrocchiani a una novena e appoggiò un pezzo di
una maglia di Carlo sul piccolo paziente, che l’indomani cominciò a mangiare.
La Tac dimostrò che il suo pancreas era diventato normale, senza che i
chirurghi lo avessero operato. Una guarigione istantanea, completa, duratura e
inspiegabile alla luce delle attuali conoscenze mediche.
La memoria liturgica è
fissata al 12 ottobre, giorno
della sua nascita in Cielo.
(Sassello,
Savona, 29 ottobre 1971 – 7 ottobre 1990) è una ragazza ligure, figlia unica, solare, piena di vita,
sportiva, generosa. A nove anni conosce i Focolarini, entra nei Gen
(la Generazione Nuova del Movimento) dove viene chiamata Chiara Luce. Ne fa suo l’ideale sino a
coinvolgere i genitori nel medesimo cammino. A 17 anni scopre di essere affetta da
un tumore osseo. Inizia la sua via crucis che accetta e affronta con coraggio e
affidamento a Dio. “Se lo vuoi tu Gesù – dice – lo voglio anch’io”.E ancora:
Voi non potete neppure immaginare qual è adesso il
mio rapporto con Gesù. Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più
grande…Mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela.
Ai giovani lascerà un
ultimo messaggio:
I giovani sono il futuro. Io non posso più
correre, ma vorrei passar loro la fiaccola come alle Olimpiadi… I giovani hanno
una vita sola e vale la pena di spenderla bene.
Si fida totalmente di
Dio e invita la mamma a fare altrettanto: «Non ti preoccupare: quando io non ci
sarò più, tu fidati di Dio e vai avanti, poi hai fatto tutto!». Per il suo
funerale chiede di essere vestita con un abito da sposa. Predispone la liturgia
della “sua” Messa: sceglie le letture e i canti… Nessuno dovrà piangere, ma
cantare forte e fare festa, perché «Chiara incontra Gesù»; gioire con lei e
ripetere: «Ora Chiara Luce vede Gesù!». Sta per compiere 19 anni quando
raggiunge lo Sposo. Poco prima aveva sussurrato l’ultimo saluto alla mamma con
una raccomandazione: «Ciao, sii felice, perché io lo sono!». Volando in Cielo,
ha voluto lasciare ancora un dono: le cornee che, col suo consenso, sono state
trapiantate in due giovani. La guarigione “rapida, totale e duratura”
dell’adolescente Andrea Bartole di Trieste nel 2001 ha aperto la strada alla
sua beatificazione avvenuta nel
2010.
La sua memoria
liturgica è il 29 ottobre,
giorno della sua nascita in terra.